Roma, 1° maggio 2020
Il tema della gestione delle infrastrutture di comunicazione mobile nel nostro Paese è reso più che mai attuale dall’avvento della tecnologia 5G, la cui sperimentazione ha sin da subito scatenato vivaci polemiche, per le incognite legate ai rischi della sua diffusione, definita inesplorata e pericolosa per l’uomo.
Non intendo soffermarmi sugli aspetti scientifici e sanitari del dibattito, che non mi competono, mentre osservo con imbarazzo che il medesimo approccio, diffidente e ostativo, è stato riservato alle precedenti tecnologie di comunicazione tuttora in uso (4G, 3G, 2G).
Mai, tuttavia, ci si è spinti al punto di dover registrare una campagna di delegittimazione, che ha favorito un clima ostile e di contrapposizione frontale, come nel caso del 5G.
Penso che difendere princìpi e diritti, di assoluto valore come la salute e l’ambiente, non deve tradursi necessariamente in una crociata contro il progresso tecnologico. Si può intervenire per tutelare tali obiettivi con spirito costruttivo e propositivo, provando a trovare una sintesi per coniugare esigenze apparentemente distanti e contrapposte.
Le recenti campagne mediatiche condotte da talune associazioni per indurre amministratori regionali e locali ad assumere posizione contro il 5G hanno il limite e il senso della crociata, diretta a precostituire un ostacolo generalizzato nei confronti di una tecnologia che, piaccia o no, ha ricevuto piena legittimazione giuridica.
Non condivido l’approccio disinvolto con cui taluni sindaci hanno varato provvedimenti di moratoria, censura e divieto nei confronti della nuova tecnologia 5G. Ciò semplicemente perché tali provvedimenti (Ordinanze, mozioni, delibere, risoluzioni, ecc..), assunti spesso sull’onda emotiva di preoccupazioni inconsistenti (vedi presunto legame tra 5G e pandemia sanitaria), sono privi di fondamento giuridico.
Tale considerazione trae spunto anzitutto dagli enunciati della Direttive UE “Servizio Universale” che, da un lato obbliga i titolari di licenze a realizzare la copertura capillare delle reti di telecomunicazione mobile e dall’altro riconosce al cittadino comunitario il pieno diritto di poter comunicare ed essere rintracciato, senza limitazioni di carattere spaziale-territoriale.
Discende, inoltre, dalla normativa italiana, che nell’annoverare le infrastrutture di comunicazione mobile tra le “opere di pubblica utilità” (art. 90, comma 1, D.Lgs. 259/2003), ne garantisce la distribuzione in tutto il territorio nazionale, in quanto “assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria” (art. 86, comma 3, D.Lgs. 259/2003).
Il citato quadro legislativo è contemperato dall’intervento autorevole della Corte Costituzionale, che a più riprese (cfr. Sent. 307/2003 e segg.) ha chiarito il riparto delle competenze per il settore telecomunicazioni nell’ordinamento italiano, rafforzando il concetto di potere urbanistico, riconosciuto a regioni e comuni, di localizzare gli impianti di radiodiffusione e telefonia mobile e regolamentarne l’installazione nel proprio territorio.
L’evoluzione giurisprudenziale ha nel tempo consolidato l’interpretazione secondo cui il potere regolamentare riconosciuto ai comuni va considerato “espressione dell’autonoma e fondamentale competenza che detto ente ha nella disciplina dell’uso del territorio” (cfr. Sent. CdS 306/2015 e succ.) e che pertanto la potestà pianificatoria degli enti locali non può essere compressa o mortificata, in quanto tesa a raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell’impatto elettromagnetico, ai sensi del comma 6, art. 8 L. 36/2001 (Cassazione Civile – Sez. U – 24740/2016).
Tale potestà, inoltre, può esplicarsi anche in limitazioni distanziali e divieti, purché ciò non si traduca in impedimenti generalizzati alla realizzazione della rete di impianti radioelettrici. Dunque, prevale il principio che, fin quando nel Piano sia consentita una localizzazione alternativa, a nulla valgono le pretese degli operatori di imporre installazioni predeterminate di infrastrutture in ogni parte del territorio.
Chiarita la cornice giuridica entro cui si collocano le norme di riferimento del settore, occorre approfondire le dinamiche che investono i rapporti tra i comuni, titolari del potere di autorizzare la localizzazione degli impianti nel proprio territorio, e gli operatori, titolari anch’essi di un legittimo potere di installare le infrastrutture, in virtù del richiamato diritto/dovere riconosciuto dalla normativa comunitaria e nazionale.
Fra gli uni e gli altri si interpongono i cittadini, spesso riuniti in associazioni e comitati, portatori di istanze e preoccupazioni, la cui voce a volte merita ascolto, ma altre volte rischia di suggestionare l’attività dei sindaci. I quali, incautamente indotti a dare riscontro a tali apprensioni, finiscono per adottare provvedimenti condiscendenti.
Questo scenario genera non solo un conflitto sociale, difficile da gestire, ma sfocia quasi sempre in contenzioso, il cui epilogo, scontato, è rappresentato dall’altissima percentuale di ricorsi alla giustizia amministrativa. Ne consegue, ovviamente, il rallentamento dei piani di sviluppo delle reti, che gli operatori hanno programmato, con relativo seguito di lamentele. Ma non risolve alla radice nemmeno il problema ai cittadini.
Così, il ricorso impulsivo dei sindaci alle ordinanze di moratoria per questa o quella tecnologia, lungi dal rappresentare un provvedimento sanitario in nome del principio di precauzione e a tutela dei concittadini, rischia di rivelarsi un pessimo servizio alla comunità, spesso con riflessi economici pesanti per il Comune stesso, chiamato a rifondere i danni alle aziende di telecomunicazioni.
Come uscire da questa incresciosa empasse?
La soluzione a tutti i problemi testé delineati non può e non deve ridursi nel pretendere dal legislatore, ora e sempre, lo snellimento delle procedure amministrative. Invero, già si è intervenuti in tal senso, con l’introduzione nell’ordinamento di numerose norme semplificative, che hanno alleggerito – fin troppo – gli operatori dal peso di complicati passaggi burocratici.
Ritengo che occorre misurarsi con l’opportunità fornita dagli strumenti giuridici esistenti, testandone il grado di affidabilità attraverso l’uso ponderato nella realtà. Mi riferisco alla pratica dei Regolamenti e della Pianificazione urbanistica delle antenne.
Posso testimoniare che in tutti i casi in cui i Comuni hanno adottato un Regolamento ed un contestuale Piano delle Antenne, seguendo i parametri del bilanciamento degli interessi indicato dalla Corte Costituzionale e poi via via puntualizzato attraverso il consolidato pronunciamento dei giudici amministrativi, si sono riscontrati esiti incoraggianti, sia in termini di abbattimento del conflitto sociale e, conseguente, contenzioso, sia per le accresciute garanzie di copertura della rete e, non ultimo, di minimizzazione della esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Dunque, laddove gli enti locali hanno sperimentato il ricorso intelligente a tali strumenti si è innescato un meccanismo virtuoso, per cui i comuni e, dunque, i cittadini, si sono rivelati protagonisti della scelta pianificatoria; accanto ad essi gli operatori, ai quali è stata garantita la realizzazione, senza ostacoli generalizzati, della propria rete di infrastrutture.
Giuseppe Teodoro gteo61@gmail.com Cell. 3476643318Consulente per le amministrazioni comunali nelle politiche di gestione territoriale delle infrastrutture di comunicazione elettronica